L'inconveniente di esistere

Un libro di Fabio Carapezza

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Prefazione a "L'inconveniente di esistere" - Alessandro Soprani

Il racconto per me è un po' come uno spazio franco, un ambiente a rimbalzo controllato dove puoi lanciare tante palle quante vuoi, e più o meno sai sempre dove vanno a finire.

Sottolineo il più o meno, però: il rimbalzo è traditore, ha un ritmo di controtempo tutto suo, difficile da controllare.

Sì perché, a prima vista il racconto è una specie di paese del bengodi dello scrittore, la cui stessa limitatezza crea spazio per ogni finale e in cui ogni finale in fondo può essere giusto, tanto non si deve davvero finire, lo sanno tutti che... No. a prima vista, dicevo. Appunto. La prima vista ti frega. Il racconto è un animale da avvicinare con cautela, perché ti frega, e ti frega talmente bene che spesso manco te ne accorgi.

Sì ma che c'entra tutto 'sto cappello, direte voi. Ecco, bravi: niente. E tutto. Niente perché in fondo è appunto quello: un cappello, e i suddetti sono solo parole in fila per riempire carta, no? Dopotutto è il testo che deve parlare, è la storia.

E allora cosa stai a rompere? Beh, però c'entra. Perché Fabio ha messo insieme una bella manciata di racconti, che se vivono ognuno di vita propria, hanno anche però una cifra comune, una certa filigrana che li attraversa e splende quando giri la carta nel modo giusto.

Prendiamo "Tu non hai il vestito di carnevale", con il suo sapiente uso degli aggettivi, la ripetizione quasi incrementale della negazione del titolo e l'analisi spassionata dell'appartenenza e della conseguente esclusione.

O prendiamo "Poeti in vetrina", forse il mio preferito in tutta la raccolta, con il suo surreale (e a me piace un sacco il surreale!) scambio tra una vita vera ma morta e una specie di morte viva.

E ancora: prendiamo "Sciarpa grigia", con la sua poetica brutalità della vita e della morte, e del punto in cui si incontrano e quasi si abbracciano.

C'è un filo comune in questi racconti, e forse lo si può riassumere in un verso bellissimo e pertanto immortale di Jim Morrison: questa è la vita più strana che io abbia mai conosciuto.

Ci sono altre storie che alzano la mano e dicono oh, io sono qua, guardami, pensami! Ad esempio "La vita dura una neve" che già ha un titolo che mi piace moltissimo, e poi mantiene la promessa con una storia in qualche modo allegra e a disagio insieme che ti racconta come quando la marea sale, tu alla fine non puoi fare altro che salire con lei.

In questo racconto ci sono anche le due righe che ho preferito in assoluto, che fanno: "Ma questa è solo una delle tante ingiustizie democraticamente create dai bianchi, che digeriscono benessere e cagano degrado sugli indigeni e sui diseredati". Bella eh? Cioè brutta, nel senso che dice una cosa tremenda, ma la dice in modo bellissimo. Ecco, questa è la scrittura.

In "Homochip 2010" Fabio traccia un quadro che sembra assurdamente futuribile, ma (purtroppo) lo è ben poco. Il sottotitolo, "la digitalizzazione dei sentimenti", la dice tutta.

E poi ancora: una lucida analisi del male dentro di sé ("Ultimo giorno"); l'uomo di fronte alla morte, con uno sberleffo ("Pesciolino rosso"); e la conclusione, l'unica possibile in fondo: "L'inconveniente di esistere", che contiene l'analisi precisa del tutto: la secchezza di ogni tua stagione... L'inconveniente di esistere, appunto.

 

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